A fine agosto è entrato in vigore il Digital Services Act (DSA) promosso dall’Unione europea. La nuova normativa impone restrizioni rivolte a 19 importanti piattaforme di social media, con lo scopo di proteggere la privacy degli utenti, il benessere della comunità e la coesione sociale.
Un’azione che potrebbe stimolare, da un lato, le aziende a riprogrammare le azioni sulle piattaforme, nell’ottica di rispettare le nuove regole, dall’altro spingere i legislatori di paesi non Ue, come gli Stati Uniti, a tentare di giungere all’approvazione di un quadro regolativo simile a quello promosso da Bruxelles, evidenziando come i cambiamenti necessari siano già una realtà operativa.
In Europa, qualsiasi piattaforma con più di 45 milioni di utenti mensili dovrà operare secondo regole molto diverse rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti.
Ecco cosa cambia per le aziende ai sensi del DSA:
- Le piattaforme devono prevenire o rimuovere post che presentano beni, servizi o contenuti illegali, consentendo agli utenti di segnalare i post quando li vedono;
- Viene limitata la portata della pubblicità mirata in base a dettagli personali come la politica o l’etnia; limitazioni anche per gli annunci mirati ai bambini;
- Richiesta alle piattaforme di maggiore trasparenza nei confronti degli utenti su come funzionano gli algoritmi, consentendo allo stesso tempo agli utenti di rinunciare agli algoritmi personalizzati;
- Garanzie che le piattaforme siano pronte a condividere i dati con autorità e ricercatori e siano attrezzate per rispondere alle crisi, come per esempio azioni terroristiche o disastri climatici.
Se le piattaforme non rispettano le regole, potrebbero essere multate fino al 6% delle loro entrate globali, con i recidivi che rischiano la sospensione delle attività nei paesi Ue. Il DSA punta a essere una sorta di “guardrail” normativo nei confronti delle Big Tech digitali, per garantire agli utenti un utilizzo più trasparente, etico e consapevole.
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